Nell’Italia prossima al precipizio, in cui quotidianamente si aprono voragini della stessa spessezza di quelle presenti negli edifici giapponesi appena dopo il sisma, assistiamo divertiti allo sciopero dei calciatori professionisti della massima serie nazionale. Assistiamo divertiti perché consideriamo i calciatori dei simpatici perditempo, anzi dei simpatici perdigiorno: in fondo animano e danno un senso alla nostra domenica, ci rallegrano con i loro dribbling così come con la loro scarsa profondità, considerano lavoro (il loro) ciò che tutti riteniamo essere un divertimento gioioso ed evocatore di festa e per il quale (caso raro, ma in verità non unico) non esiste un percorso formativo distinto e determinato di accesso. In più e cosa di non poco conto, non li paghiamo noi con le nostre tasse, a differenza dei politici e delle loro inefficienze e questo in tempi di ristrettezze solleva noi e quasi deresponsabilizza loro.
Ma la parola sciopero, riflettendoci anche solo un po', evoca astensioni collettive di lavoratori dal lavoro, lotte legittime, proteste, rivendicazioni salariali ed atti di solidarismo: sentirla allora maneggiare da chi si considera lavoratore solo perché beneficia della corresponsione di un generoso stipendio (ingaggio) da parte di altro soggetto (le Società di calcio), sa di beffa, manipolazione e canzonatura nei confronti di tutti ed in particolare di chi lotta o ha lottato veramente e strenuamente per un lavoro reale o per conservarlo. E’ vero: molti nostri calciatori sentendo della serrata in atto nel campionato di basket professionistico USA, sono rimasti colpiti ed hanno cercato di imitare in parte i colleghi d'oltreoceano mutuandone la forma di protesta e cercando quasi di saldare le loro ragioni con le proprie al grido di un complotto internazionale, data la crisi economica, ai danni della categoria degli sportivi. E’ altrettanto vero: quando decidono di ragionare i nostri calciatori, anche se affaticandosi, riescono alla fine a farlo. Hanno da anni compreso la potenza di propagazione delle televisioni e si sono adeguati, tutelando ad esempio in tutti modi i diritti legati alla propria immagine; inoltre, sanno che le società derivano il loro gettito dalla vendita dei diritti tv e non più dagli spettatori paganti allo stadio e quindi hanno dilatato con smisuratezza le proprie pretese economiche nei loro confronti, pensionando il contatto con i tifosi e privilegiando i passaggi nell’etere. Malgrado questi esempi, però, i nostri calciatori non sono riusciti ancora a capire la forza, la potenza, la sacralità e l’inviolabilità di un termine alto e torreggiante come sciopero: sentirlo sibilare nei loro labiali è un po’ come ascoltare la recita di un Canto della Divina Commedia da parte di un infante e cioè incredibile. 1) Un consiglio ai calciatori ed al loro rappresentante, che sempre più spesso si vede in tv e che pare non ridere per apparire più serio: aprite qualsiasi edizione di quel grande volume austero presente – ci si augura – in ogni abitazione e denominato vocabolario, ricercate il vocabolo “sciopero”, leggetene la definizione e riflettete almeno un minuto sul suo contenuto e sugli esempi eventualmente riferiti. 2) Un invito ai calciatori: nessuno può sottrarsi a rinunce e sacrifici in tempi di seria crisi economica (indipendentemente dal contributo di solidarietà). Nemmeno voi osereste rimanere isolati nella vostra torre indorata mentre l’Italia tutta precipita.
lunedì 29 agosto 2011
Calcio e sciopero in tempo di crisi. La lobby dei calciatori.
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