venerdì 9 luglio 2010

A parte il lobbying ed ancora sul calcio




 



 



Jabulani



Alcuni visitatori del blog hanno chiesto all'estensore dei post di parlare ancora di calcio e dei Campionati mondiali in corso di svolgimento. Inoltre, hanno anche domandato - un navigatore in particolare - che i post venissero firmati dall'autore con il proprio nome. Accontentati tutti!



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Anche nel corso di questa edizione, a contendersi il titolo di campione del mondo di calcio saranno due compagini europee. Come nel 2006, del resto, a dimostrazione di quanto eurocentrico sia diventato il confine del calcio mondiale. Meglio, a dimostrazione di quanto, dopo una propagazione internazionale pluridecennale, il calcio competitivo e vincente abbia fatto rimpatrio al suo alveo primordiale di sviluppo e prima diffusione: l’Europa. L’Europa si conferma, infatti, come area caratterizzata da una superiorità sportiva palesata in quasi tutte le diverse discipline. Nel calcio particolarmente. Certo, nei campionati delle varie leghe europee ad incantare e giustificare il sempre più elevato prezzo dei biglietti sono le prestazioni dei giocatori extracomunitari,  prevalentemente sudamericani. Quello “latino” è un calcio da esportazione, infatti, uso ad approntare talenti e ad indirizzarli successivamente nei campionati del “vecchio continente”, più ricchi, ma disavvezzi da anni a crescere piccoli campioni autoctoni. Non si può tralasciare il fatto che il calcio di “oltreoceano” risulti fortemente indebolito da questa sua peculiarità: la polverizzazione  europea dei talenti latini, con la loro dispersione presso i diversi club del continente, infatti, fa derivare la frantumazione di ogni organicità, omogeneità e compattezza delle squadre nazionali; non è facile selezionare i calciatori, farli giocare insieme, renderli parti di un tutto, riunirli in un unico sito, compattarli verso una medesima tensione, acclimatarli. Uno pensa: ed il Brasile cinque volte campione del mondo, allora? E l’Argentina? Beh, esiste una spiegazione anche per gli esempi citati: le nazionali vincenti di Brasile ed Argentina erano guidate, meglio, trascinate da fuoriclasse che è impossibile mettere a paragone quanto a talento, abilità, doti con i giocatori di oggi. Non esiste un nuovo Maradona (altro che Messi!); non esiste un nuovo Ronaldo (altro che Luis Fabiano!); da qui consegue la spiegazione: il calcio sudamericano non potrà mai contare su una coralità di gioco rodata ed affidabile (come le nazionali europee), ma vivrà perennemente di individualità. Tanto più queste individualità saranno fuori dal comune, tanto più le squadre nazionali saranno vincenti. Una squadra di buoni calciatori – va ricordato - non vale le prestazioni di un solo fuoriclasse, in grado di cambiare l’inerzia di una partita con un colpo, o una semplice giocata.
La conclusione.Il calcio sudamericano nazionale si impoverisce a scapito di quello europeo, che gode dell’apporto dei suoi fuoriclasse e si migliora per la continua interazione con talenti e campioni allogeni. Il calcio europeo, tramite una politica inattiva riesce ad essere vincente, abbinando alla lunga tradizione sportiva l’interazione vantaggiosa con i “lontani”. L’Europa beneficia del talento degli atleti extra-comunitari e lo capitalizza al massimo; le nazionali latine sono di converso assottigliate nel loro vigore.
Cosa dovrebbero fare, allora, le leghe di calcio sudamericane per recuperare almeno i margini di questa compromessa/compressa competitività?
Mettere in atto soluzioni protezionistiche come fece la lega brasiliana di volley dopo una serie di clamorosi insuccessi (vietò, in particolare, ai suoi campioni l’espatrio presso club stranieri per diversi anni) o pensarne di diverse come invece la Nba americana (dopo figure pietose in tornei internazionali, pensò di limitare l’ingresso nel proprio campionato dei giocatori stranieri: i vertici della Lega si erano accorti, infatti, che questi, dopo anni di gioco in compagini statunitensi diventavano campioni e conducevano la loro esperienza nelle rispettive squadre nazionali rendendole molto competitive) non servirebbe. Gioverebbe, invece, erigere un nuovo modello sportivo con delle federazioni forti e con gli allenatori in posizione centrale: l’allenatore dovrà essere selezionatore, motivatore, ma soprattutto federatore, cioè abile a legare i talenti singoli in un unico soggetto, esaltando le differenze nel collettivo (abbandonino le vecchie glorie calcistiche ai destini che si sono guadagnati!). Ancora, i calciatori dovrebbero conoscersi e giocare insieme non soltanto in occasione di eventi sportivi internazionali (ricordiamo tutti gli stage preparatori di Sacchi, che potrebbero costituire un modello da importare); poi, dovrebbe essere composto uno zoccolo duro di giocatori in forza alle squadre di un medesimo continente e lavorare assiduamente con questo, prima di innestarvi ogni altra individualità (i calciatori tedeschi della nazionale, ad esempio, militano tutti in club del proprio Paese). Infine attrarre sponsor e finanziamenti da indirizzare nella riorganizzazione necessaria dei vivai, al fine di porre limiti ai continui saccheggi e depauperamenti operati dai team titolati europei, dovrà diventare imprescindibile.
Indignazione. Sono trascorsi quindici giorni dalla sconfitta vergognosa con la Slovacchia ed i vertici del nostro calcio sono ancora tutti al loro posto. Incredibile!
Cultura. I Mondiali di calcio sono anche occasioni per formarsi piccoli patrimoni di conoscenza (Ci si chiede: chi è quel calciatore? Da dove arriva? Qual è la storia del suo Paese ? E poi ci si informa attraverso i motori di ricerca internazionali - lo testimoniano le parole chiave inserite): si svolgano tutti i mesi!!
Auspicio. Nel corso della finale mondiale del prossimo 11 Luglio ci auguriamo che a prevalere possa essere il bel gioco ed il calcio in assoluto: lo dobbiamo tutti a questo sport che da un mese ci appassiona, ci coinvolge, ci emoziona, ma soprattutto – e non è poco visti i tempi rigorosi e severi - ci diverte.

Alessandro Panico/Omnes

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