venerdì 25 giugno 2010

Ancora Usa - Italia



obamaSuccede in America. Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, rimuove dall’incarico il responsabile delle forze armate Usa e Nato schierate in Afghanistan, generale Stanley McChrystal, perché in una intervista aveva parlato delle debolezze dell’Amministrazione americana nella gestione delle attività di guerra, nell’area. Le conseguenze? Semplici e lineari: mandato affidato all’esperto generale Petraeus e polemiche ridotte al minimo. Il soldato, che aveva dapprima azzardato una improbabile difesa, ha accettato professionalmente la decisione forte del Presidente; verrebbe da dire da vero militare, da soggetto abituato, cioè, a sopportare le glorie e le insidie dei campi di guerre, ma anche gli effetti delle decisioni maturate nelle stanze del potere. Sì, negli Stati Uniti l’esecutore di importanti incarichi può contestare il suo capo affidatario; questi, però, può decidere a sua volta di rimuoverlo con atto imperioso, ma democratico per le critiche esternate, se queste risultano infondate o pretestuose e senza che alcuno ne contesti legittimità o autorità.
“Siamo in guerra, non dimentichiamocelo”, ha spiegato Obama riferendosi all’episodio.
Siamo in America, non dimentichiamocelo, potremmo aggiungere noi, una terra in cui il decisionismo e la responsabilità abitano i luoghi e sono declinazioni tangibili della democrazia di cui è estesamente impregnata.
 
30Succede in Italia, all’incirca nei medesimi momenti. Lasciamo da parte la vicenda americana che da noi avrebbe mutato i suoi contorni, convertendosi nella consueta penosa sceneggiata (tipo, attraverso i diversi passaggi: un generale denuncia una situazione di disagio; la sua condotta è sottoposta a censura; viene licenziato; diventa un martire pubblico protetto dall’opposizione politica; l’opinione pubblica si spacca; sarà candidato alle prossime elezioni come capolista di un partito d’opposizione; la stampa nazionale titolerà per settimane sul caso; se ne parlerà all’estero; tirannica sarà classificata la decisione di rimuoverlo) e parliamo di quanto accaduto ieri, in Italia, quando l’intera popolazione si è fermata per assistere alla partita di calcio – persa poi pesantemente -  fra la nostra nazionale e la Slovacchia, nel torneo mondiale sudafricano. Osserviamo, fra le numerose, alcune semplici cose: 1) in Italia troviamo coesione nazionale (bandiere tricolori, inno, aggregazione..) solo nei momenti di evasione o svago, mai in quelli importanti, seri e decisivi; questo rattrista dolorosamente e deve indurci a severa riflessione; 2) solo noi Italiani, sino ad oggi, abbiamo creduto che il nostro calcio si fosse sviluppato, mentre gli altri movimenti calcistici mondiali stavano ancora rincorrendoci; al riguardo, ricordiamo che la mondializzazione non ha travolto e trascinato semplicemente le economie mondiali, ma tutto, indistintamente, calcio compreso; 3) criticare – doverosamente - la protervia dei nostri calciatori, la loro inabilità, il loro ego smisurato, la loro gigantesca inconcludenza presuppone biasimare anche noi stessi, visto che anche noi abbiamo colpevolmente contribuito a costruire tutto questo, negli anni, attraverso la copertura di  loro comportamenti inaccettabili e con l’approvazione verso gesti, modi di fare e modi di agire inqualificabili, messi in atto dagli “eroi” di ieri pomeriggio; l’esultanza di un giocatore, ad esempio, dopo un goal? Non c’è più spontaneità nemmeno lì, nel nostro campionato, perché il calciatore prepara la scena prima, per la gioia degli sponsor e di noi tifosi che continuiamo a manifestare divertimento; 4) non può essere consentito che la squadra vincitrice del campionato, della Champions League e della Coppa nazionale, l’Inter, non assicuri un serbatoio di risorse ed energie alla nazionale, perché composta da soli stranieri; non lo possiamo permettere e non ce lo possiamo più permettere; 5) è giusto pretendere le dimissioni dei vertici del nostro calcio, perché chi continua a governarlo, ad oggi, lo ha demolito e mandato in rovina; è troppo facile mr. Lippi assumersi le responsabilità della disfatta di ieri, per evitare domande scomode e quando si è alla conclusione del proprio contratto; è troppo semplice, infine, Governo del Calcio italiano mandare avanti mr. Lippi, che non può più essere “processato” a causa delle ragioni appena esposte; e le vostre responsabilità? 6) rivolto ai calciatori: basta con le vostre compagne sui giornali, con il vostro cuoco in tv, con i vostri tatuaggi arabescati, con la coltre di gel a coprire il vostro nulla, con il cellulare appeso al collo, con la borsa indossata a bandoliera. Siate seri, professionali e prendete coscienza di una condizione che non può più essere sopportata da voi stessi, in primis, ma anche da noi tifosi  che nelle manifestazioni internazionali vi deleghiamo la rappresentanza. Vedete, calciatori italiani, protagonisti della disfatta di ieri, per vostra responsabilità l’esperienza sudafricana sarà ricordata per decenni e non solo nella letteratura calcistica – un po’ come per la Corea – come la peggiore e sventurata capitata alla nostra nazionale e come esempio di “disfatta modello”, da non ripetere assolutamente non solo nel calcio, ma in ogni situazione. Poi, sappiamo tutti come funziona da noi: l’evento si idealizzerà nel luogo e noi Italiani assoceremo al Sudafrica il peggiore e luttuoso ricordo. Tutto questo non lo merita uno stato certamente difficile, con una storia complicata, ma in movimento e con un programma per il futuro assennato ed ambizioso. Tutto questo non lo meritano, soprattutto, persone che in nome degli ideali di libertà di un intero popolo hanno rinunciato a tutto: ovviamente, ci riferiamo a Nelson Mandela, primo Presidente nero del Sudafrica dopo la fine dell'apartheid e Premio Nobel per la Pace e a quanti sono stati accanto a lui, nel corso della sua lunga battaglia, condotta per la libertà e la democrazia, contro razzismo ed intolleranza.
Calciatori italiani, protagonisti della disfatta di ieri, oltre che a noi, avete l’obbligo di chiedere scusa anche a lui!

 

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