Arrivederci al 2011!
mercoledì 22 dicembre 2010
giovedì 4 novembre 2010
(E)lezioni americane
Alla conclusione delle elezioni mid term che si tengono a metà mandato presidenziale, Barack Obama è riuscito a mantenere la maggioranza al Senato, perdendo però quella alla Camera. Osservatori e notisti politici affermano che il risultato elettorale sia la diretta conseguenza della insoddisfazione della gente, esasperata anche dalla profonda crisi economica e sociale degli ultimi due anni. Non vogliamo commentare il dato elettorale emerso e ciò che da questo è conseguito; ci limitiamo, semplicemente, ad illustrare la reazione del Presidente e nell’immediato periodo post-elettorale e a distanza di pochi giorni. Obama ha subito riconosciuto la sconfitta e dichiarato prontamente di assumersi le responsabilità per l’insuccesso, non ha nascosto la delusione, ma ha indagato le ragioni della vittoria repubblicana, chiarendone possibili cause (“un’economia troppo lenta a ripartire e che non crea abbastanza posti di lavoro”; “non aver fatto i progressi che avevamo bisogno di fare”). Ha continuato dicendo di essere pronto a lavorare con i Repubblicani e che nei prossimi due anni sarà suo proponimento quello di estendere i tagli delle tasse al ceto medio e alle imprese. Obama ha concesso agli avversari, ma ha parallelamente voluto rimarcare una vittoria del suo Governo (con l’approvazione della riforma sanitaria) e fissare dei paletti alle velleità di John Boehner, nuovo speaker repubblicano della Camera, quando ha affermato che “nessun partito può dettare l’agenda dei lavori”. Il Presidente ha chiuso il suo giro di commenti anche con una battuta - non e' che raccomando ai futuri presidenti di prendere la batosta che ho preso la notte scorsa, ci sono modi più facili di imparare la lezione -, stemperando così i toni aspri della trascorsa campagna elettorale e del suo risultato. Insomma, onestà, schiettezza, rettitudine, responsabilità, ma anche pragmatismo, orgoglio ed ironia: politici italiani, prendete appunti da oltreoceano!
lunedì 27 settembre 2010
III^ Edizione Marcia Internazionale per la Libertà
Ti sei mai chiesto quale sia il vero volto della libertà?
III MARCIA INTERNAZIONALE
PER LA LIBERTA’
DEI POPOLI
BIRMANO – IRANIANO – TIBETANO – UYGHURO
ROMA – 23 OTTOBRE - ORE 15.30
da P.zza Bocca della Verità a P.zza Navona
(Organizzata dall'Associazione di cultura Liberale
Società Libera)
venerdì 9 luglio 2010
A parte il lobbying ed ancora sul calcio
Alcuni visitatori del blog hanno chiesto all'estensore dei post di parlare ancora di calcio e dei Campionati mondiali in corso di svolgimento. Inoltre, hanno anche domandato - un navigatore in particolare - che i post venissero firmati dall'autore con il proprio nome. Accontentati tutti!
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Anche nel corso di questa edizione, a contendersi il titolo di campione del mondo di calcio saranno due compagini europee. Come nel 2006, del resto, a dimostrazione di quanto eurocentrico sia diventato il confine del calcio mondiale. Meglio, a dimostrazione di quanto, dopo una propagazione internazionale pluridecennale, il calcio competitivo e vincente abbia fatto rimpatrio al suo alveo primordiale di sviluppo e prima diffusione: l’Europa. L’Europa si conferma, infatti, come area caratterizzata da una superiorità sportiva palesata in quasi tutte le diverse discipline. Nel calcio particolarmente. Certo, nei campionati delle varie leghe europee ad incantare e giustificare il sempre più elevato prezzo dei biglietti sono le prestazioni dei giocatori extracomunitari, prevalentemente sudamericani. Quello “latino” è un calcio da esportazione, infatti, uso ad approntare talenti e ad indirizzarli successivamente nei campionati del “vecchio continente”, più ricchi, ma disavvezzi da anni a crescere piccoli campioni autoctoni. Non si può tralasciare il fatto che il calcio di “oltreoceano” risulti fortemente indebolito da questa sua peculiarità: la polverizzazione europea dei talenti latini, con la loro dispersione presso i diversi club del continente, infatti, fa derivare la frantumazione di ogni organicità, omogeneità e compattezza delle squadre nazionali; non è facile selezionare i calciatori, farli giocare insieme, renderli parti di un tutto, riunirli in un unico sito, compattarli verso una medesima tensione, acclimatarli. Uno pensa: ed il Brasile cinque volte campione del mondo, allora? E l’Argentina? Beh, esiste una spiegazione anche per gli esempi citati: le nazionali vincenti di Brasile ed Argentina erano guidate, meglio, trascinate da fuoriclasse che è impossibile mettere a paragone quanto a talento, abilità, doti con i giocatori di oggi. Non esiste un nuovo Maradona (altro che Messi!); non esiste un nuovo Ronaldo (altro che Luis Fabiano!); da qui consegue la spiegazione: il calcio sudamericano non potrà mai contare su una coralità di gioco rodata ed affidabile (come le nazionali europee), ma vivrà perennemente di individualità. Tanto più queste individualità saranno fuori dal comune, tanto più le squadre nazionali saranno vincenti. Una squadra di buoni calciatori – va ricordato - non vale le prestazioni di un solo fuoriclasse, in grado di cambiare l’inerzia di una partita con un colpo, o una semplice giocata.
La conclusione.Il calcio sudamericano nazionale si impoverisce a scapito di quello europeo, che gode dell’apporto dei suoi fuoriclasse e si migliora per la continua interazione con talenti e campioni allogeni. Il calcio europeo, tramite una politica inattiva riesce ad essere vincente, abbinando alla lunga tradizione sportiva l’interazione vantaggiosa con i “lontani”. L’Europa beneficia del talento degli atleti extra-comunitari e lo capitalizza al massimo; le nazionali latine sono di converso assottigliate nel loro vigore.
Cosa dovrebbero fare, allora, le leghe di calcio sudamericane per recuperare almeno i margini di questa compromessa/compressa competitività?
Mettere in atto soluzioni protezionistiche come fece la lega brasiliana di volley dopo una serie di clamorosi insuccessi (vietò, in particolare, ai suoi campioni l’espatrio presso club stranieri per diversi anni) o pensarne di diverse come invece la Nba americana (dopo figure pietose in tornei internazionali, pensò di limitare l’ingresso nel proprio campionato dei giocatori stranieri: i vertici della Lega si erano accorti, infatti, che questi, dopo anni di gioco in compagini statunitensi diventavano campioni e conducevano la loro esperienza nelle rispettive squadre nazionali rendendole molto competitive) non servirebbe. Gioverebbe, invece, erigere un nuovo modello sportivo con delle federazioni forti e con gli allenatori in posizione centrale: l’allenatore dovrà essere selezionatore, motivatore, ma soprattutto federatore, cioè abile a legare i talenti singoli in un unico soggetto, esaltando le differenze nel collettivo (abbandonino le vecchie glorie calcistiche ai destini che si sono guadagnati!). Ancora, i calciatori dovrebbero conoscersi e giocare insieme non soltanto in occasione di eventi sportivi internazionali (ricordiamo tutti gli stage preparatori di Sacchi, che potrebbero costituire un modello da importare); poi, dovrebbe essere composto uno zoccolo duro di giocatori in forza alle squadre di un medesimo continente e lavorare assiduamente con questo, prima di innestarvi ogni altra individualità (i calciatori tedeschi della nazionale, ad esempio, militano tutti in club del proprio Paese). Infine attrarre sponsor e finanziamenti da indirizzare nella riorganizzazione necessaria dei vivai, al fine di porre limiti ai continui saccheggi e depauperamenti operati dai team titolati europei, dovrà diventare imprescindibile.
Indignazione. Sono trascorsi quindici giorni dalla sconfitta vergognosa con la Slovacchia ed i vertici del nostro calcio sono ancora tutti al loro posto. Incredibile!
Cultura. I Mondiali di calcio sono anche occasioni per formarsi piccoli patrimoni di conoscenza (Ci si chiede: chi è quel calciatore? Da dove arriva? Qual è la storia del suo Paese ? E poi ci si informa attraverso i motori di ricerca internazionali - lo testimoniano le parole chiave inserite): si svolgano tutti i mesi!!
Auspicio. Nel corso della finale mondiale del prossimo 11 Luglio ci auguriamo che a prevalere possa essere il bel gioco ed il calcio in assoluto: lo dobbiamo tutti a questo sport che da un mese ci appassiona, ci coinvolge, ci emoziona, ma soprattutto – e non è poco visti i tempi rigorosi e severi - ci diverte.
Alessandro Panico/Omnes
venerdì 25 giugno 2010
Ancora Usa - Italia
Succede in America. Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, rimuove dall’incarico il responsabile delle forze armate Usa e Nato schierate in Afghanistan, generale Stanley McChrystal, perché in una intervista aveva parlato delle debolezze dell’Amministrazione americana nella gestione delle attività di guerra, nell’area. Le conseguenze? Semplici e lineari: mandato affidato all’esperto generale Petraeus e polemiche ridotte al minimo. Il soldato, che aveva dapprima azzardato una improbabile difesa, ha accettato professionalmente la decisione forte del Presidente; verrebbe da dire da vero militare, da soggetto abituato, cioè, a sopportare le glorie e le insidie dei campi di guerre, ma anche gli effetti delle decisioni maturate nelle stanze del potere. Sì, negli Stati Uniti l’esecutore di importanti incarichi può contestare il suo capo affidatario; questi, però, può decidere a sua volta di rimuoverlo con atto imperioso, ma democratico per le critiche esternate, se queste risultano infondate o pretestuose e senza che alcuno ne contesti legittimità o autorità.
“Siamo in guerra, non dimentichiamocelo”, ha spiegato Obama riferendosi all’episodio.
Siamo in America, non dimentichiamocelo, potremmo aggiungere noi, una terra in cui il decisionismo e la responsabilità abitano i luoghi e sono declinazioni tangibili della democrazia di cui è estesamente impregnata.
Succede in Italia, all’incirca nei medesimi momenti. Lasciamo da parte la vicenda americana che da noi avrebbe mutato i suoi contorni, convertendosi nella consueta penosa sceneggiata (tipo, attraverso i diversi passaggi: un generale denuncia una situazione di disagio; la sua condotta è sottoposta a censura; viene licenziato; diventa un martire pubblico protetto dall’opposizione politica; l’opinione pubblica si spacca; sarà candidato alle prossime elezioni come capolista di un partito d’opposizione; la stampa nazionale titolerà per settimane sul caso; se ne parlerà all’estero; tirannica sarà classificata la decisione di rimuoverlo) e parliamo di quanto accaduto ieri, in Italia, quando l’intera popolazione si è fermata per assistere alla partita di calcio – persa poi pesantemente - fra la nostra nazionale e la Slovacchia, nel torneo mondiale sudafricano. Osserviamo, fra le numerose, alcune semplici cose: 1) in Italia troviamo coesione nazionale (bandiere tricolori, inno, aggregazione..) solo nei momenti di evasione o svago, mai in quelli importanti, seri e decisivi; questo rattrista dolorosamente e deve indurci a severa riflessione; 2) solo noi Italiani, sino ad oggi, abbiamo creduto che il nostro calcio si fosse sviluppato, mentre gli altri movimenti calcistici mondiali stavano ancora rincorrendoci; al riguardo, ricordiamo che la mondializzazione non ha travolto e trascinato semplicemente le economie mondiali, ma tutto, indistintamente, calcio compreso; 3) criticare – doverosamente - la protervia dei nostri calciatori, la loro inabilità, il loro ego smisurato, la loro gigantesca inconcludenza presuppone biasimare anche noi stessi, visto che anche noi abbiamo colpevolmente contribuito a costruire tutto questo, negli anni, attraverso la copertura di loro comportamenti inaccettabili e con l’approvazione verso gesti, modi di fare e modi di agire inqualificabili, messi in atto dagli “eroi” di ieri pomeriggio; l’esultanza di un giocatore, ad esempio, dopo un goal? Non c’è più spontaneità nemmeno lì, nel nostro campionato, perché il calciatore prepara la scena prima, per la gioia degli sponsor e di noi tifosi che continuiamo a manifestare divertimento; 4) non può essere consentito che la squadra vincitrice del campionato, della Champions League e della Coppa nazionale, l’Inter, non assicuri un serbatoio di risorse ed energie alla nazionale, perché composta da soli stranieri; non lo possiamo permettere e non ce lo possiamo più permettere; 5) è giusto pretendere le dimissioni dei vertici del nostro calcio, perché chi continua a governarlo, ad oggi, lo ha demolito e mandato in rovina; è troppo facile mr. Lippi assumersi le responsabilità della disfatta di ieri, per evitare domande scomode e quando si è alla conclusione del proprio contratto; è troppo semplice, infine, Governo del Calcio italiano mandare avanti mr. Lippi, che non può più essere “processato” a causa delle ragioni appena esposte; e le vostre responsabilità? 6) rivolto ai calciatori: basta con le vostre compagne sui giornali, con il vostro cuoco in tv, con i vostri tatuaggi arabescati, con la coltre di gel a coprire il vostro nulla, con il cellulare appeso al collo, con la borsa indossata a bandoliera. Siate seri, professionali e prendete coscienza di una condizione che non può più essere sopportata da voi stessi, in primis, ma anche da noi tifosi che nelle manifestazioni internazionali vi deleghiamo la rappresentanza. Vedete, calciatori italiani, protagonisti della disfatta di ieri, per vostra responsabilità l’esperienza sudafricana sarà ricordata per decenni e non solo nella letteratura calcistica – un po’ come per la Corea – come la peggiore e sventurata capitata alla nostra nazionale e come esempio di “disfatta modello”, da non ripetere assolutamente non solo nel calcio, ma in ogni situazione. Poi, sappiamo tutti come funziona da noi: l’evento si idealizzerà nel luogo e noi Italiani assoceremo al Sudafrica il peggiore e luttuoso ricordo. Tutto questo non lo merita uno stato certamente difficile, con una storia complicata, ma in movimento e con un programma per il futuro assennato ed ambizioso. Tutto questo non lo meritano, soprattutto, persone che in nome degli ideali di libertà di un intero popolo hanno rinunciato a tutto: ovviamente, ci riferiamo a Nelson Mandela, primo Presidente nero del Sudafrica dopo la fine dell'apartheid e Premio Nobel per la Pace e a quanti sono stati accanto a lui, nel corso della sua lunga battaglia, condotta per la libertà e la democrazia, contro razzismo ed intolleranza.
Calciatori italiani, protagonisti della disfatta di ieri, oltre che a noi, avete l’obbligo di chiedere scusa anche a lui!
giovedì 17 giugno 2010
Lobby dell'arte
Un gruppo davvero speciale ed esclusivo, rappresenta quello dei valutatori di opere d’arte; ne parliamo oggi. Per discuterne, però, è necessario articolare una breve premessa, che consentirà di bene inquadrare questo gruppo - anche storicamente - all’interno dell’ambiente in cui si muove ed opera da decenni. A partire dal XIX secolo i parametri impiegati dagli esperti d’arte per le proprie valutazioni cambiano profondamente; l’artista infatti, a partire da quel preciso momento storico, non si esercita più in una rappresentazione oggettiva della realtà, ma propone manifestazioni artistiche soggettive e nuove forme espressive, lontane dai canoni tradizionali. L’artista, ora innovatore, riproduce una realtà filtrata dalle sue impressioni e mediata dalle sue osservazioni, che non è più l’imitazione di ciò che appare a tutti gli altri, ma una continua sperimentazione che sfocia nel progressivo disancoramento dal reale. Cosa deriva da tutto questo? Per prima cosa il ricordato affrancamento, da parte degli artisti, dall’eleborare in modo veristico le forme del mondo sensibile; poi, il consolidamento di un mercato dell’arte in cui l’aspetto economico prevale su quello estetico; quindi, la perdita di ogni riferimento per il compratore di opere d’arte, visto che i canoni di bello o brutto riferiti ad un’opera perdono sostanza (prima un quadro, ad esempio, veniva considerato bello se ciò che era rappresentato somigliava al soggetto o al paesaggio reale); infine - la cosa più importante, senza dubbio -, l’ascesa impetuosa del ruolo e della figura del critico d’arte, del cui giudizio debbono ora fidarsi gli acquirenti e il cui linguaggio comincia a divenire sempre più criptico e specialistico. I successi degli artisti, da questo momento in avanti, non sono più decretati dal pubblico, ma dai critici d’arte: solo se ha l’appoggio di questi un’opera avrà valore e solo se avrà valore l’opera sarà acquistata dai diversi compratori, che non l’acquistano (solo) per il piacere di ammirarla, ma perchè sono convinti che raddoppierà o triplicherà la quotazione iniziale nel volgere di pochi anni. Il potere dei critici d’arte è tale da riuscire a creare beni di cultura dal niente, attribuendo valore artistico ed economico a determinate produzioni (quadri più di ogni altra produzione: statue, ad esempio) e determinati autori, anche a danno di altri; non tragga in inganno il fatto che alcune opere possono essere acquistate solo da alcune privilegiate categorie di compratori, perchè il mercato, benchè occidentale, ha una estensione mondiale ed una trasversalità rilevante (dal petroliere con significativo capitale, allo sportivo con patrimonio investito nell’acquisto di opere d’arte). Inoltre, la pittura viene considerata dai critici come disciplina artistica d’eccellenza, perchè si esprime attraverso opere non riproducibili (come per musica e poesia, ad esempio), ma uniche e con conseguente elevato valore. Per questa ragione un quadro raggiunge, per opera non (solamente) dell’autore, ma del giudizio di chi controlla il mercato (critici e mercanti) quotazioni incredibili, indipendentemente dalla notorietà o meno di chi lo ha realizzato: la forza del gruppo dei valutatori d’arte consiste in questo, cioè nel saper convincere chi dispone di capitali ed è incompetente ad acquistare opere. Il gruppo ha una forza, un blasone ed uno spirito di appartenenza unico, ma la sua azione ha un limite spaziale ed applicativo di rilievo: riesce ad esercitare il potere di suggestione prevalentemente nelle discipline della pittura e della scultura e non in altre manifestazioni artistiche, come ad esempio l’architettura. Perchè non l’architettura? Perchè in questo caso la produzione artistica deve essere accompagnata da un necessario valore d’uso, sconosciuto alle opere pittoriche; per spiegare, poniamo il caso di una abitazione: per quanto disegnata e rifinita in ogni particolare da importanti designers o stilisti, se questa non sarà anche comoda e molto pratica non verrà assolutamente acquistata da alcuno. Quindi, più il valore d’uso di una produzione sarà alto, meno il cliente potrà essere raggirato; la conseguenza sarà che il gruppo dei critici d’arte sarà meno abile a vendere e, al contempo, forte.
mercoledì 28 aprile 2010
Lobbying culturale liberale
L’Associazione Società Libera, lobby italiana di cultura liberale, presenta in questi giorni a Roma e Milano l’ottavo Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della Società Italiana. La presentazione del Rapporto costituisce occasione per analizzare il “sistema Italia”- sempre più compresso fra sfiducia e inefficienza - e momento di discussione fra tutti i partecipanti esperti presenti. Società Libera, consapevole che l’attuale crisi sia anche la conseguenza di politiche dissennate “condotte in assenza di regole certe, controlli costanti e valori condivisi”, ritiene che vada assolutamente ripreso anche il dibattito sulla privatizzazione di diverse aziende ancora partecipate dallo stato; inoltre, Società Libera crede che l’informazione debba subire un deciso e consapevole ricentraggio del suo ruolo, così da staccarla definitivamente da manifesti conflitti di interessi ed insopportabili vuoti di pluralismo.
venerdì 19 marzo 2010
Lobby e Lobbying: opinioni a confronto
Scriveva Steven Rosen, Direttore dell’Ufficio Affari esteri del Comitato Israelo-Statunitense di Affari Pubblici, in una nota personale del 1982: “Una lobby è come un fiore notturno. Fiorisce nell’oscurità e muore al sole”! L’argomentazione di Rosen appare netta e semplice nel suo vigore e nella sua linearità, ma vogliamo riferire anche l’opinione di un esperto conoscitore di lobbies e lobbying come Edward Luttwak, politologo ed analista militare americano, che trenta anni dopo questa affermazione la pensa diversamente.
Per Luttwak “gli ingredienti della lobby devono essere quelli della legalità e della trasparenza delle decisioni. La democrazia – continua – funziona quando gli abitanti divengono cittadini e proteggono i loro diritti rispettando i loro doveri. Man mano che ci si allontana da questa formula ottimale di democrazia, i cittadini si trasformano in sudditi, ignorando diritti e doveri e causando il malfunzionamento delle lobbies. Queste, poi, sono sempre esistite negli ordinamenti democratici - conclude Luttwak - perchè al loro interno è possibile la rappresentazione dei diversi interessi”.
Condividiamo le affermazioni di Edward Luttwak, perchè al pari suo riteniamo che le lobbies costituiscano espressione di democrazia all’interno di un dato sistema. Certo, è importante che l’attività di queste sia condotta da gruppi d’interesse diversi (come negli Stati Uniti), in grado di portare all’attenzione del decisore proposte diversificate, supportate da spiegazioni e chiarimenti capaci di arricchire ed agevolare il corso processuale delle decisioni e non di ostacolarlo o influenzarlo.
mercoledì 3 marzo 2010
Lobbies e corporazioni in Italia
Poco tempo fa, Francesco Giavazzi, docente di Economia Politica alla Bocconi e stimato editorialista del Corriere della Sera, come già fatto in un libello di successo, è tornato a parlare dell’Italia e dei rallentamenti cui è soggetta lungo la strada dello sviluppo. Per Giavazzi l’Italia è un “Paese in declino, grigio e prigioniero di se stesso; non premia il merito e preferisce la rendita al rischio dell’investimento. Al suo interno, le grandi Aziende invece di competere sui mercati si rifugiano in settori al riparo dalla concorrenza, mentre le corporazioni e gli ordini professionali sono arroccati in difesa dei propri privilegi. Quale, allora, la ricetta per cambiare direzione? Secondo Francesco Giavazzi “importante sarebbe riscoprire l’istituto della concorrenza” ed avvicinare le “due Italie presenti, formate da chi compete (e si impegna) e da chi è protetto (e guadagna)”. Giavazzi, poi, parla anche delle lobbies “che fanno il loro mestiere e che non provocherebbero danno a nessuno – visto che fanno solo i propri interessi – se nel sistema entro cui si muovono ci fossero concorrenza e regole chiare. Il problema è, quindi, introdurre più concorrenza e non solo regolamentare le lobbies”. Riprendiamo un esempio citato in passato da Giavazzi per descrivere la nostra Italia ingessata da privilegi e veti. Dice Giavazzi: “da noi un’aspirina costa il doppio che in Gran Bretagna, perché qui può essere acquistata solo in farmacia, a differenza di quanto avviene altrove; i farmacisti, in passato, hanno spiegato per settimane sui diversi media che sarebbe rischioso infatti lasciare liberi gli Italiani di comprare la quantità di aspirina che vogliono”.
Approviamo quanto detto da Giavazzi ed auspichiamo un intervento tempestivo ed efficace del legislatore, cosicché la distanza fra l’Italia e gli altri Paesi, soprattutto anglosassoni, possa essere almeno ristretta. Il sistema paese e soprattutto gli Italiani esprimerebbero riconoscenza!
venerdì 19 febbraio 2010
Un grande giorno ieri!
venerdì 12 febbraio 2010
Due diversi sistemi!
Alla guida di una qualsiasi società (intesa come comunità di persone, riunite non necessariamente in un medesimo luogo e che eseguono un ben individuato ufficio), sia essa impresa, partito politico, associazione categoriale, squadra o lega sportiva, deve essere collocata una persona integerrima, che possa impiegare la propria integrità per rappresentarne gli interessi all’esterno, ma anche per dirigerne i lavori e le professionalità all’interno.
In un recente post abbiamo parlato del Commissioner della Nba (Lega di basket professionistica americana), David Joel Stern, avvocato e rappresentante della lobby ebraica di New York, e della sua abilità professionale impastata di avvedutezza, competenza, antivisione di cose e scenari.
David J. Stern, ricopre l’ufficio di Commissioner Nba perchè sa far rispettare le semplici e chiare leggi che disciplinano e regolano i gangli dello sport più bello del mondo; è rispettato perchè per primo sa farsi rispettare; è temuto perchè non adotta metodologie vendicative ed odiose, ma si limita ad applicare i regolamenti; non è in discussione perchè non ama discutere; è democratico perchè governa un movimento internazionale servendosi di (persino pochi) principi liberi e liberali, conosciuti e sottoscritti da tutti i membri della “sua” comunità; è severo perchè lo sono tempi e persone; è da alcuni odiato perchè coerente e perchè non ama negoziare le sue decisioni.
Il caso. Nelle settimane scorse, Gilbert Arenas e Javaris Crittenton, compagni di squadra nei Wizards di Washington, team professionistico della Nba, hanno introdotto nello spogliatoio delle armi - alcuni giorni dopo una animata discussione -, ignorando tutti i regolamenti previsti.
Ebbene, dopo un attenta e dettagliata indagine è intervenuto David Stern che ha sospeso i due da ogni attività, sino alla conclusione del campionato Nba, privandoli, oltrettutto, anche dello stipendio. La società dei Wizards Washington ha approvato la decisione di Stern (Arenas dovrà comparire anche di fronte al tribunale del Distict of Columbia, perchè ha violato anche le sue leggi) e sta pensando alla rescissione dei contratti per i due; questi, capito la gravità del gesto compiuto, hanno accettato le decisioni prese e non hanno assolutamente criticato Stern.
Quindi, riassumendo: 1) vengono comminate delle sanzioni a due membri di una comunità, a seguito di loro gravi comportamenti; 2) la società che stipendia i due approva totalmente l’adozione di questi provvedimenti sanzionatori; 3) i destinatari delle sanzioni accettano le decisioni prese e non contestano assolutamente chi le ha adottate, 4) l’opinione pubblica approva, perchè il giudice – Stern -, come sempre, non ha minimamente temporeggiato o ammorbidito la pena inflitta.
Ci troviamo negli Stati Uniti!
Là l’ammirazione, la stima e la fiducia nei confronti di una persona maturano a seguito degli atti che compie e non delle parole che pronuncia; si usa ricordare questo nel sistema anglosassone. Possiamo, allora, ancora meravigliarci del prestigio di cui gode David Joel Stern, o di cui godono quelle persone che come Stern, sceglierebbero di dimettersi piuttosto che derogare alla propria integrità?
No, assolutamente!
Poi un qualsiasi lettore trova scritto sui nostri giornali, in questi giorni, che un calciatore è risultato positivo a due recentissimi controlli anti-doping e che la società che lo ha ingaggiato desidera solo proteggerlo e difenderlo per la sua condizione anagrafica di ragazzo e per il suo stato di umano incline a sbagliare (per ben tre volte, addirittura?), invocando coerentemente decisioni clementi (come al solito, si cerca di condizionare le scelte di un giudice, servendosi di parole ed atti che indirizzano gli atteggiamenti ed i comportamenti dell’opinione pubblica – in realtà, questa strategia viene impiegata anche negli Stati Uniti: si veda, al riguardo, il post “Amanda’s lobbying").
Ancora, sempre cronaca di questi giorni: un cantante che avrebbe dovuto partecipare ad una prossima gara canora dichiara l’assunzione quotidiana di droga; insorge la politica: cattivo maestro, indegno di partecipare alla gara canora pubblica; l’organizzazione della gara canora, con decisione: il cantante non può più essere ammesso. E’ ormai tutto deciso, quindi, irrevocabilmente. Tutti contenti, no? No! Perchè il cantante piange e prova ritrattare – aggiustandolo - l’outing; la politica ritorna sugli anatemi appena pronunciati, si commuove e dichiara di fare il tifo per la sua riammissione al concorso canoro; l’organizzazione della gara canora, spinta dalle opinioni buoniste diffuse nell’aria, ritorna sui suoi passi e condiziona la riammissione del cantante alla gara, alla sua decisione o meno di intraprendere un percorso riabilitativo (poi, però, non se fa più niente perchè il cantante si dichiara addirittura offeso; inoltre, alcuni suoi colleghi lo difendono e lo invitano a non partecipare!).
Tutto coerente da noi, no? Sì! Sembra la rappresentazione “buonista” del modello americano! Poi uno legge un giornale di sport americano in cui si parla di Stern e della vicenda di Arenas e Crittenton e si ferma a riflettere... interrogandosi!
giovedì 28 gennaio 2010
Nuova lobby Sky and Space
giovedì 14 gennaio 2010
Lobbying di Piccola Industria
Il nuovo Presidente della Piccola Industria di Confindustria è Vincenzo Boccia, campano, già Presidente del movimento dei Giovani Imprenditori e già vice di Giuseppe Morandini.
In un momento difficile come l’attuale, al nuovo Presidente spetterà un compito impegnativo, ma anche stimolante; tutte le persone che hanno avuto occasione di lavorare con lui sono assolutamente certe delle qualità, competenze e capacità che saprà impiegare a vantaggio della Piccola Industria.
Fra i diversi punti del programma di presidenza, Vincenzo Boccia ha illustrato quelle che saranno le aree su cui concentrerà con vigore l’azione dell’Associazione da lui guidata: Fisco (riduzione dell’IRAP), Credito (attenuazione dei vincoli di Basilea 2), Burocrazia (accelerare la semplificazione) e Formazione (avvicinamento dei giovani alle imprese, con il “servizio civile aziendale”, della durata di un mese).
Con una squadra di presidenza composta da nove membri preparati e con esperienza, siamo convinti che Vincenzo Boccia saprà portare avanti le istanze della Piccola Industria con la stessa energia impiegata dal suo predecessore Morandini.
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Confindustria e Fascismo, secondo una certa storiografia. Confindustria è stata accusata – soprattuto da alcuni storici , nel corso di alcuni convegni – di avere in qualche modo supportato il fascismo: Mussolini nomina, infatti, ministro del tesoro il Prof. De Stefani, economista liberale; il 2 ottobre 1925, inoltre, con il Patto Vidoni firmato tra Confindustria e i rappresentanti del regime fascista, vengono aboliti i sindacati dei lavoratori cattolici, socialisti o indipendenti; infine, nel 1926, scioperi e serrate vengono dichiarate fuori legge.
Non aggiungiamo altro a quanto appena esposto, lasciando polemiche e dispute storiche agli storici, appunto.